Sovraccarico di Informazioni

Info Surfing, Information Overload

L’Information Overload Addiction è una delle ultime individuate fra le patologie online e consiste nella ricerca irrefrenabile e compulsiva di informazioni e notizie sul web, passando in modo ossessivo da un sito all’altro. Chi soffre di tale disturbo mette in atto dei veri e propri comportamenti compulsivi, utilizzando tutti gli strumenti di cui dispone per rimanere costantemente aggiornato: iscrizione a newsletter e feed RSS, controllo ossessivo della casella e-mail, aggiornamento continuo delle pagine web, monitoraggio costante dei social network.
Spesso la ricerca di informazioni si conclude con una grandissima quantità di materiale salvato sul computer o nei preferiti del browser, che però non aiutano l’individuo a prendere una decisione o a focalizzarsi su una singola informazione. Questo accade a causa dell’ovvio stato di confusione e sovraccarico che si viene a creare per via dei pareri discordanti e dell’imponente quantità di dati a sua disposizione. La sensazione dell’individuo dipendente da informazione è quella di non essere mai abbastanza informato, di correre il rischio di lasciarsi scappare qualche notizia di vitale importanza. Talvolta i dati che vengono cercati non hanno neanche una reale importanza per il soggetto, ma assolvono al compito di impegnarlo in qualcosa ed evitargli pensieri frustranti. L’Information Overload Addiction risulta quindi essere una strategia di evitamento dei problemi reali per cui l’individuo soffre, un modo per mettere a tacere la sua ansia e la solitudine.
Il rischio di tale patologia è che il bisogno di rimanere costantemente aggiornato diventi invalidante al punto che la ricerca vada ad esaurire tutto il tempo libero, o peggio lavorativo, dell’individuo.

Nel corso degli anni sono stati individuati due principali fenomeni strettamente collegati al sovraccarico informativo (Information Overload): l’Information Fatigue Sindrome (IFS) e l’Information Anxiety, entrambe derivanti dallo stress derivante dal dover fronteggiare una quantità eccessiva di dati. Information Anxiety è un termine coniato da Richard Saul Wurman nel suo libro omonimo del 1989 ed individua una condizione di stress causata dall’impossibilità di accedere, capire o fare un uso dell’informazione necessaria. Wurman definisce l’ansia da informazione come “il prodotto del sempre più ampio divario tra ciò che capiamo e quello che pensiamo di capire. È il buco nero tra i dati e la conoscenza”. L’information Anxiety sembra essere un’entità distinta dall’Information Overload, seppure strettamente connessa a quest’ultimo. Gli studiosi Baron e Wood hanno concluso che i soggetti sviluppano l’ansia da informazione quando i compiti che stanno svolgendo diventano più complessi, e quando aumenta il numero e la forza delle distrazioni. Inoltre gli individui manifestano l’Information Anxiety più frequentemente in compiti nuovi o con i quali non hanno ancora dimestichezza, piuttosto che in attività già consolidate.
L’ansia da informazione è dovuta quindi principalmente alle difficoltà nell’accedere ai dati piuttosto che alla sensazione di esserne bombardati e non sottolinea particolari manifestazioni fisiche come avviene nel caso dell’Information Fatigue Syndrome, affrontato nel successivo capitolo e più strettamente collegato all’Information Overload. 
Nel 1990 la Reuters News Agency commissionò a David Lewis uno studio titolato “Dying For Information?”, riguardante i problemi di gestione dell’informazione, soprattutto nei luoghi di lavoro. Lewis individua una serie di sintomi che derivano dal fronteggiamento dell’Information Overload e li racchiude nella sua sindrome da affaticamento informativo. Tra le manifestazioni più frequenti osservate nei knowledge workers, e in particolare nei manager, sono comprese:
- malumori ed irritabilità;
- ansia e dubbi su di sé;
- insonnia;
- confusione e frustrazione;
- dolori di stomaco e mal di testa;
- dimenticanze.

Secondo Lewis, queste manifestazioni fisiche del sovraccarico informativo si tradurrebbero in un peggioramento della qualità delle decisione prese e in una paralisi della capacità analitica, la cosiddetta “paralysis for analysis”. Tale paralisi può infatti costringere il cervello a funzionare in modalità-panico, con una conseguente lettura erronea delle informazioni a disposizione: questo la maggior parte delle volte porta i professionisti a prendere decisioni avventate o viziate. L’Information Fatigue Syndrome è un fenomeno che affligge in modo cronico chi per lavoro è costretto a gestire un notevole flusso informativo, ma si può anche verificare come una manifestazione occasionale.

Tra gli effetti più immediatamente percepibili dell’ingresso delle nuove tecnologie nella vita degli individui, emerge la ridotta capacità di concentrazione. Dover prestare attenzione ad un elevato numero di stimoli contemporaneamente ci spinge a non dilungarci più su un singolo compito.
Questo è particolarmente vero soprattutto nella navigazione web, che ha profondamente modificato il nostro modo di rapportarci verso la lettura. Nicholas Carr, uno scrittore americano autore dell’articolo “Is Google Making Us Stupid?”, usa una metafora sul cambiamento nel suo modo di rapportarsi all’informazione: “Prima ero un subacqueo nel mare di parole, ora sfreccio sulla superficie come un ragazzo con la moto d’acqua”. Tale cambiamento sarebbe dovuto all’aspettative di ottenere le informazioni nello stesso modo in cui la Rete le distribuisce, in un rapido flusso in movimento. Secondo i ricercatori della University College London gli utenti online non leggono più in senso tradizionale, preferendo un tipo di lettura orizzontale basata su titoli, tavole dei contenuti e abstracts, alla ricerca di risultati più veloci. 
Stiamo diventando dei semplici decodificatori di informazioni, e staremmo via via perdendo la capacità di interpretazione, così come quella di costruire collegamenti mentali per un’analisi critica del testo.
Dovendo gestire più informazione di quanta possiamo effettivamente processarne, il rischio è di cadere vittime del confirmation bias, la tendenza a rimanere legati ad un’idea che ci siamo fatti sulla base di informazioni preliminari, anche quando evidenze successive contraddicono quell’idea. È una propensione naturale degli uomini, esacerbata dal fatto di aver a che fare con l’Information Overload. Se un individuo compie una ricerca per avere informazioni su uno specifico argomento, nel giro di pochi secondi Google gli restituisce diversi milioni di pagine visualizzabili: l’utente esamina i primi risultati della ricerca e si forma un’idea. 
Proseguendo nella navigazione tenderà a notare più facilmente le informazioni a sopporto della sua idea piuttosto che quelle contrarie. Le nuove tecnologie stanno inoltre spingendo le persone verso l’individualismo: tenendo conto che prestiamo attenzione ai media (compresi televisione, cellulari, computer ecc) per circa 9,5 ore al giorno, il tempo rimanente per le interazioni sociali si sta riducendo. Sono soprattutto i giovani ad essere colpiti da questa realtà. Susan Greenfield, neuroscienziata dell’Università di Oxford, ritiene che i nuovi media favoriscano un profondo cambiamento nel cervello dei giovani, riducendo l’attenzione e l’empatia, favorendo la gratificazione istantanea, impoverendo le relazioni umane. Una prolungata esposizione ai nuovi media potrebbe inoltre dare luogo ad un ricablaggio delle connessioni cerebrali perché, dice Sue Palmer, scrittrice inglese che si occupa di educazione, il cervello dei giovani non si impegna più nelle attività nelle quali i cervelli umani si sono impegnati per millenni.
Come abbiamo visto nell’analisi storica, simili effetti sono stati riscontrati in tutte le epoche in cui un nuovo medium si imponeva sulla società, ma non per questo dobbiamo avere l’erronea convinzione che per questo siano solo delle sciocche superstizioni. È invece più probabile che il nostro cervello abbia bisogno di tempo per adattarsi a nuovi strumenti di comunicazione. Il cambiamento porta molto spesso con sé sensazioni di affaticamento e confusione, ma non per questo è necessariamente negativo. Il malessere, la sensazione di sovraccarico e le strategie di adattamento che mettiamo attualmente in atto per fronteggiare la quantità impressionante di dati, sono appunto un adattamento che forse, in futuro, porterà il cervello degli esseri umani ad essere meglio strutturato e connesso di quello di oggi. Anche l’avvento della scrittura ha avuto le sue ripercussioni, ma senza quell’invenzione sicuramente non esisterebbe tutto il sapere di cui oggi disponiamo.